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X Factor e la selezione innaturale

  • Alex Ber
  • 24 nov 2017
  • Tempo di lettura: 3 min

Se pensare che a X Factor i litigi tra giudici siano costruiti a tavolino è complottismo, rendersi tuttavia conto che il format accoglie questi litigi come parte integrante dello spettacolo è essere realisti; perché della merce da vendere – come già disse qualcuno – bene o male, l’importante è che se ne parli. E sarebbe da sprovveduti pensare che i talent show come questo sentano davvero il bisogno morale di promuovere i giovani ragazzi italiani che vogliono fare della musica il proprio mestiere. Questo forse avviene, ma è secondario. Se lo spirito di X Factor fosse questo, i giudici sarebbero esperti di tecnica canora, e la qualità dei cantanti sarebbe più alta. Inizio a sospettare – e mi si scusi la prima persona – che il canto sia arrivato a X Factor come l’arte culinaria a Masterchef: perché la musica, come il cibo, è fruita da tutti; e se l’interesse per una merce è collettivo, i produttori e gli sponsor non lesinano investimenti.

Né mi spiego come questa fatidica collettività, che ormai coincide con il fantomatico ‘popolo del web’, possa davvero credere che ciò che viene offerto dai talent show sia il volto migliore di quel talento, e non quello che scatena le reazioni più disparate; reazioni che si traducono in audience spietata. Eppure si rischia di nuovo di cadere nel complottismo, o nei discorsi da bar. Ma, per fare un esempio, se la musica fosse lo scopo, e non il mezzo, assocerei ad X Factor le esibizioni dei cantanti, e non i primi piani dei quattro giudici illuminati dai fari dello studio.

Dopo che Coppi e Bartali hanno smesso di gareggiare, il popolo italiano si è dovuto raccapezzare sempre più, fino agli sgoccioli di quell’epoca novecentesca che ora, guardandosi alle spalle, sembra già parte di un mondo delle illusioni. E X Factor offre le fazioni che ci servono. X Factor ci offre un idolo che non si ritaglia il proprio spazio per la propria bravura, almeno in una prima fase, ma piuttosto per lo spettacolo che offre. Ne sono una dimostrazione lampante le standing ovation per i cantanti che urlano acuti sbagliati. Ogni persona impegnata in una famiglia e in un lavoro che appaiono sempre più simili alla vita e al lavoro di ogni altra persona ha bisogno di affidare le proprie emozioni a ragazzi che, apparentemente, ‘Ce l’hanno fatta’. Gli acuti amati dal pubblico sono la manifestazione più palese di questo bisogno. I maestri di canto non si emozionano per gli acuti, si emozionano per gli acuti fatti bene. Ma il popolo non sa quasi nulla di intonazione, e i giudici di X Factor, anche se volessero fare gli interessi dell’Arte, dovrebbero rassegnarsi prendendo per proprio il gusto popolare. È un’epoca estremamente barocca, e la monotonia dell’esistenza viene attenuata mostrando ogni evento come grandioso e irripetibile, ogni ragazzo spigliato che sceglie di andare in televisione come l’uomo della provvidenza che arriva sul palco per conquistare una fetta di massa. Nessuno si rende conto che se non ci fosse Rita Bellanza con la sua voce sporca, la sua fetta di fan si sarebbe affidata a qualcun altro, a chiunque altro.

E questi ragazzi? Credo fortemente che la passione di questi, e il loro eventuale talento, siano genuini quanto le loro emozioni. Infatti costoro non sono carnefici, ma vittime del talent. Vederli sfilare su quel palco uno dopo l’altro, esibendosi in canzoni scelte da qualcun altro, giudicati da quattro personaggi il cui parere, al di fuori della finzione televisiva, sarebbe estremamente opinabile, mi fa venire alla mente i riflessi di una vetrina dove gli articoli sono posizionati da spingere il viandante a fermarsi per apprezzarli. E non ci sarebbe tutta questa attenzione per l’emozionalità del pezzo, che spesso, anzi sempre supera la bravura necessaria, né per il look o per la coreografia, che non possono migliorare l’esibizione canora di un non-cantante.

Le selezioni e le eliminazioni vengono svolte in funzione della simpatia o meno di ogni personaggio. Ed è comprensibile: di fronte all’assenza del vero talento ci si deve arrangiare.

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