Emmanuel Macron: il passato e il futuro della Francia
- Camilla Casadio
- 1 dic 2017
- Tempo di lettura: 5 min

Emmanuel Macron, discorso sul futuro dell'Europa all'università Sorbona (26 settembre 2017)
Sono trascorsi poco più di sei mesi da quando Emmanuel Macron è alla guida dell’Eliseo. È scontato come un semestre rappresenti un arco temporale eccessivamente ristretto per poter dare un giudizio complessivo sull’operato di un presidente della Repubblica, anche se qualche traccia è già stata lasciata lungo il cammino.
Con un passato da ministro dell’Economia, dell’Industria e del Digitale in quota alla presidenza socialista di François Hollande, decide di lasciare l’incarico e di candidarsi alla presidenza della Repubblica con il movimento politico “En Marche”, da lui fondato. In pochi mesi riesce ad imporsi nei sondaggi su Marine Le Pen (Front National) e il 7 maggio 2017 giunge il verdetto elettorale che lo corona, a soli 39 anni, 25° presidente della Repubblica francese. Si sono spese parecchie parole e molto inchiostro sulle cause della sua vittoria, ma l’interpretazione maggioritaria dataci dai quotidiani francesi ed europei attribuisce la sua elezione al carattere post-ideologico e apartitico del suo programma politico. In buona sostanza, egli avrebbe trionfato sulla sua rivale perché si presentava come il leader di un “movimento” e non di un partito, ovvero agli occhi dei francesi rappresentava una cesura profonda nei confronti dell’immobilismo dei partiti tradizionali.

L'appello ai francesi da parte del generale Charles de Gaulle ai microfoni di Radio Londra (18 giugno 1940)
In realtà in periodo di campagna elettorale, si sa, si dice qualsiasi cosa, si fanno innumerevoli promesse e non si perde mai l’occasione per esercitare la propria capacità retorica. Ci si nasconde anche dietro ad una maschera se necessario a racimolare consensi, ma la maschera è destinata a cadere prima o poi. E quella di Emmanuel Macron è appena precipitata al suolo. Invéro in egli si può trovare una grande quantità di ideologia, a dispetto dell’immagine d’innovatore che gli è stata affibbiata dai media internazionali e della quale si è furbescamente servito. Inoltre, si potrebbe serenamente affermare che egli incarni una sorta di sintesi (abbastanza contraddittoria) di alcune personalità che hanno costellato la galassia della V Repubblica francese. In primo luogo, egli quando dichiara la sua volontà di riportare la Francia al centro dello scacchiere internazionale, dimostrando un forte attivismo in politica estera che è da sempre domaine réservé all’inquilino dell’Eliseo, ricorda il generale Charles de Gaulle (i francesi perdoneranno il paragone, forse) alla ricerca della grandeur nazionale perduta. Basti pensare a quando Macron scavalcò il governo italiano nella mediazione diplomatica con il presidente libico Fayez al-Sarraj e il generale Haftar in merito all’apertura di hotspot in Libia per l’esame delle domande di asilo dei migranti. In quel contesto non esitò a ricordare:“La Francia si muoverà con o senza l’Europa”. Europeismo a giorni alterni. Rievoca de Gaulle anche nella sua volontà di classificare come movimento e non come partito il soggetto politico da lui creato, come per smarcarsi dalla “Repubblica dei partiti”, celebre formula utilizzata a più riprese dagli storici contemporanei per indicare il ruolo centrale che occupavano i partiti tradizionali prima della transizione dalla IV alla V Repubblica francese e quindi dal sistema parlamentare a quello semipresidenziale. Partiti per i quali il generale nutriva scarsa simpatia poiché ai suoi occhi rappresentavano quella forma di governo che non era riuscita ad ancorare la Francia ad un potere esecutivo stabile (in dodici anni di durata, 1946-58, si susseguirono ben 22 governi).

François Mitterand il giorno della sua elezione a presidente della Repubblica francese (10 maggio 1981)
Tuttavia, nel discorso sul futuro dell’Europa che ha tenuto lo stesso Macron lo scorso 26 settembre all’università Sorbona, si percepisce una forte somiglianza con l’acceso europeismo che contraddistinse da sempre la figura di François Mitterand (ma anche quella di Valéry Giscard d’Estaing), 21° presidente della Repubblica francese. Ad accomunare i due presidenti, oltre all’appartenenza al partito socialista, è senza dubbio la fede nel progetto europeo. Nel suo discorso, Macron pone l’accento sulla pace che il Vecchio continente è riuscito a mantenere per oltre settant’anni dalla fine dell’ultimo conflitto mondiale grazie alla capacità dei popoli europei di mettere da parte l’odio e le divisioni che li attraversavano, contribuendo in tal modo all’istituzionalizzazione di un’idea, l’Europa, che ha fatto trionfare la civiltà, la prosperità e la libertà sulle barbarie della guerra. Tra le proposte avanzate dall’energico trentanovenne dinanzi agli studenti della Sorbona, spiccano quelle di dotare l’Europa di un esercito e di una cultura strategica comune, di assicurare la sovranità europea attraverso la creazione di una speciale polizia di frontiera, di offrire un programma di formazione ed integrazione ai rifugiati, di intensificare la cooperazione internazionale con l’Africa ed infine di porsi come avanguardia della transizione ecologica. Tuttavia, riguardo all’ultimo punto il proselitismo macroniano sfuma davanti all’attuale dinamismo della francese Total SA, una delle aziende leader nel settore petrolifero e nel gas naturale. La compagnia si è aggiudicata un progetto da 4,8 miliardi di dollari per lo sfruttamento della fase 11 del giacimento di gas di South Pars, il più grande al mondo. Per di più il 21 agosto scorso è riuscita a mettere in saccoccia la divisione oil del gruppo danese Ap Moller Maersk che opera nel Mare del Nord con un miliardo di barili di riserve (7,5 miliardi di dollari). L’impressione è quella di una Francia che si muove da sola sul terreno energetico, nonostante l’invito di Macron a dotare l’Europa di una politica energetica comune. La doppiezza del nuovo inquilino dell’Eliseo deve essere inquadrata in uno spettro più ampio e del tutto europeo. Infatti, con una Gran Bretagna che ha smesso di fare il cavallo di Troia degli Stati Uniti in Europa, con Angela Merkel che è uscita con le ossa rotte dall’ultima consultazione elettorale e con un’Italia che è già in clima di campagna elettorale per le legislative del 2018, la Francia ha la strada spianata per riguadagnare in Europa l’autorità smarrita sotto la presidenza Hollande.

Jacques Chirac all'assemblea generale delle Nazioni Unite (settembre 2006)
Infine, se in politica estera Macron si mostra gioviale e apparentemente cooperante, non si può dire lo stesso in politica interna. Il 31 agosto scorso ha presentato la riforma del codice del lavoro insieme al suo primo ministro, Edouard Philippe. L’effetto immediato è stato quello di un crollo di 12 punti percentuali del suo indice di gradimento (dal 62% a maggio al 40% ad agosto). La drastica perdita di popolarità riguarda il consistente ridimensionamento (quasi draconiano) del ruolo dei sindacati all’interno della contrattazione. Il governo francese ha introdotto la possibilità di negoziare accordi fuori dal controllo dei sindacati nelle aziende con meno di 50 lavoratori e accordi di categoria per fissare contratti a tempo determinato (finora decisi a livello nazionale). Inoltre, la legge comprende anche i licenziamenti economici, ovvero se fino ad oggi un’azienda per licenziare doveva provare il fallimento globale della sua attività, ora sarà sufficiente il rapporto sullo stato di salute di quell’azienda in Francia. È lapalissiano il motivo per il quale i sindacati siano da mesi sul piede di guerra, mentre il presidente del Mouvement des Entreprises de France (gemello di Confindustria) Pierre Gattaz si rallegra. Il provvedimento puzza di neoliberismo e mira a colpire le classi lavoratrici, mentre fa gli interessi degli industriali. Questo atteggiamento di fiero alfiere del liberismo, complice anche il suo passato da funzionario della banca d’affari Rotschild & Co., ricorda un Jacques Chirac alle prese con il suo primo mandato presidenziale (1995-2002) quando presentò il “piano Juppé”. Allora la misura proponeva, tra gli altri punti, di uniformare i sistemi pensionistici del settore pubblico a quelli del privato. Naturalmente, il provvedimento scatenò una valanga di scioperi del servizio pubblico che paralizzò il paese per dei mesi, costringendo il governo alla retromarcia.
Insomma, il carattere inedito che Macron vuol ancorare alla sua presidenza è solo un’illusione. Nel suo operato si trova qualche sprazzo di liberismo, un po’ di socialismo alla francese e una buona dose di realismo politico. Tutti questi elementi ideologici creano una miscellanea tanto disordinata quanto incoerente che è destinata a confondere i cittadini francesi. Il risultato finale è che a cercare di fare il presidente di tutti si finisce per non fare il presidente di nessuno.
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